Verso una cultura del consenso? La nota di Exit Strategy

Che i processi e i procedimenti devono svolgersi nelle aule di giustizia, in condizioni di parità, davanti un giudice terzo ed imparziale lo sappiamo. Ma la notizia pubblicata, lo scorso lunedì 8 maggio su un giornale web locale, sull’opposizione della parte offesa alla richiesta di archiviazione sul procedimento a carico di un 22enne di Sant’Agata dei Goti che avrebbe abusato sessualmente di una ragazza minorenne all’epoca dei fatti, ci smuove a dover fare una riflessione importante, a prescindere dal caso specifico.

In Italia, come in altri paesi europei, la definizione legale di stupro è basata sull’uso della forza, minaccia di uso della forza o coercizione, senza alcun riferimento al principio del consenso. L’art. 609-bis, la condotta di colui che “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringa taluno a compiere o subire atti sessuali”. Come dimenticare la sentenza di Torino del 2017 in cui un uomo fu assolto dall’accusa di avere abusato di una collega di lavoro perché, secondo il giudice, la donna avrebbe detto “solamente” no basta senza mettersi a urlare.

Importante l’appello di Amnesty International, lanciato nel 2020 al Ministero della Giustizia per la revisione dell’articolo 609-bis del codice penale affinché qualsiasi atto sessuale non consensuale sia punibile, adeguando, in questo modo la legislazione italiana agli standard internazionali e, in particolare, alla Convenzione di Istanbul. Il principio del consenso deve valere ogni giorno nei rapporti con le persone ma deve entrare anche nelle aule dei tribunali.

Purtroppo sono moltissime le donne che non denunciano perché “oggi il processo è un luogo di rivittimizzazione della donna” come ha ribadito più volte Paola Di Nicola Travaglini, giudice della Corte di Cassazione nonché consulente giuridica della Commissione parlamentare sul femminicidio, che definisce lo stupro “il reato più democratico del pianeta, è talmente democratico che non conosce differenze economiche, sociali, religiose, culturali geografiche, (…) l’unico reato che si propone in tutto il mondo con le stesse modalità e con le stesse giustificazioni di quella violenza che è normalizzata”. Ed è proprio da questa cultura che “normalizza” che bisogna partire.

Exit Strategy
Associazione di Promozione Sociale